IL DIFFICILE COMPITO DELL’ESSERE GENITORI

I figli sanno perdonare tutto ai genitori, purchè i genitori siano in grado di occuparsi di loro”.

Questa frase, tratta dal libro “Stiamo calmi” di Marina Zanotta, psicoterapeuta dell’età evolutiva, riflette il mio pensiero su quello che considero il mestiere più complicato del mondo.

Ogni bambino ha la sua famiglia, ogni famiglia ha la sua storia e ogni storia che si rispetti è fatta di persone e non di moduli componibili di Ikea. Pretendere che ciò che funziona per me e per i miei figli sia perfettamente adattabile alla famiglia del mio vicino di pianerottolo è una finta rassicurazione, legata al fatto che viviamo immersi nell’era delle risposte facili offerte da internet e dai forum di genitori a cui ci iscriviamo freneticamente sui social.

L’educazione pratica ed affettiva dei ragazzi non è qualcosa di delegabile all’esperienza degli altri, va immaginata, costruita, sperimentata e riorganizzata esclusivamente all’interno delle relazioni tra il bambino e la sua “comunità educante”, tipicamente composta dai genitori, dai nonni, dalle maestre, fino ad arrivare all’allenatore della squadra di basket o al prete dell’oratorio. Non vi sono ricette casalinghe, istruzioni per l’uso o antidoti universali da prescrivere nell’educazione di un bambino.

E’ la qualità della nostra comprensione, spesso la comprensione intuitiva di uno dei genitori che è in intima comunione con il suo bambino, a fornirci il giusto metodo nei momenti critici.

Ogni relazione con un figlio è specifica ed unica: nessun bambino è uguale ad un altro e nessun fratello nasce mai nella stessa famiglia. Ognuno nasce in un preciso momento storico diverso nella vita di quella famiglia e di quei genitori, per cui ogni incontro sarà unico e diverso e di conseguenza lo sarà anche la relazione. Un conto è nascere primogeniti in uno specifico contesto, e un conto è nascere secondogeniti, terzogeniti in altri. Quindi anche il nostro progetto educativo potrà variare da figlio a figlio, perché mi troverò di fronte ad una persona diversa, in un momento diverso della mia vita ed in una congiuntura storica differente. Fatti salvi i principi che ispirano il mio agire educativo, non farò torto a nessuno se come genitore deciderò di comportarmi in modo non identico con tutti i miei figli.

Non crescono solo i figli, crescono anche i genitori. Un adolescente ha genitori molto diversi rispetto a quando era bambino. Non è solo lui ad attraversare una nuova età di vita con problemi ed esperienze sconosciute, ma anche i genitori a loro volta vivono una diversa età della vita, con problemi ed esperienze altrettanto nuove. Ne consegue che anche la relazione cambia o deve cambiare ed il diventarne consapevoli è la prima fatica/conquista da attraversare. Nella realtà personale dei genitori è presente la potenzialità trasformativa offerta dalle crisi inevitabili che si attraversano nella vita quotidiana con i figli.

 Se non ci fosse l’idealizzazione iniziale” amava sottolineare lo psichiatra Paul Claude Recamier “ il ruolo dei genitori è così faticoso che nessuno metterebbe al mondo dei figli”.

La nascita del primo figlio sancisce un passaggio importante nella vita dei genitori: tutto cambia. Non riconoscersi più è l’esperienza inevitabile durante e dopo qualsiasi crisi di passaggio. Non si è più quelli di prima e non si sa ancora che cosa si diventerà in futuro. Si sa solo che si vorrebbe disperatamente tornare ad avere il proprio equilibrio di prima e che questo non è più possibile. Questo avvenimento costituisce sicuramente un primo cambiamento importante nell’equilibrio di una giovane coppia. Le sensazioni che si provano sono di incertezza, di confusione, di non sapere che cosa fare, la paura di non essere all’altezza, di sentirsi inadeguati e così via. Se poi per caso nella testa si aveva l’immagine idealizzata del genitore perfetto si cade proprio in una crisi non sentendosi mai abbastanza. Aiuterebbe il sentire di fare davvero il proprio meglio per essere genitori sufficientemente buoni per il proprio bambino. Il quale, a sua volta, non ha bisogno di genitori perfetti, per fortuna, ma semplicemente dei suoi genitori, che sono loro, solo loro e nessun altro al mondo, con i loro punti di forza ma anche con le loro fragilità ed insicurezze.

Quando si affronta il ruolo materno lo si fa con un’altissima aspettativa su se stesse, quella della perfezione, che inevitabilmente si porta dietro il rischio di ritorcersi contro. E’ importante andare avanti utilizzando le proprie risorse: quelle reali, su cui ognuno di noi può contare, anche se diverse per ciascuno, e non quelle ideali, lontane dalla realtà della vita che portano inevitabilmente a sentirsi fallite e mai all’altezza di un modello così lontano dalla realtà e così onnipotente.

Il compito del padre è importantissimo proprio per prendersi cura all’inizio della coppia mamma-bambino; successivamente sarà altrettanto importante l’inserirsi fra di loro come terzo, permettendo al piccolo di uscire dalla coppia chiusa mamma-bambino per intraprendere col tempo il suo percorso di crescita come individuo, chiamato non a caso processo di separazione, differenziazione, individuazione di sé.

Cambiamenti, passaggi, perdite, problemi del vivere non riguardano solo una persona bensì tutti indistintamente, ognuno con la propria specificità. Ciò che cambia, semmai, è il bagaglio con cui ognuno di noi è attrezzato per affrontarli e la consapevolezza emotiva che in qualsiasi relazione, ognuno di noi si mette in gioco in prima persona, con i propri punti di forza e quelli di debolezza, la propria fragilità e le proprie incertezze, la voglia di dare ma anche quella di ricevere, lo stupore e il piacere dell’imparare dall’altro in una crescita continua.

Una crisi superata diventa per tutti un grande patrimonio mentale perché rinforza la fiducia nelle nostre capacità e quindi l’autostima.

Anche per il bambino diventa, nel crescere, uno dei fattori protettivi più importanti che la psicologia evolutiva abbia individuato, insieme alle sicurezze di base. Non c’è come l’aver attraversato e superato le difficoltà di una crisi che ci permette di fidarci di noi stessi e delle nostre risorse. Se ce l’abbiamo fatta quella volta non si capisce perché non dovremmo riuscirci adesso. E’ questa paradossalmente l’esperienza di cui viene privato un bambino al quale gli adulti cerchino sempre di spianare la strada.

Lascia questa campana di vetro, non la voglio più”.

“Ma il vento…”

“Non sono così raffreddato. L’aria fresca della notte mi farà bene. Sono un fiore.”

A.DE SAINT-EXUPERY. Il piccolo Principe

Mi piace paragonare la funzione della famiglia a quella di un buon porto, in cui ci si può ritirare quando il mare è agitato e da cui si può partire quando invece il mare è calmo e i venti sono favorevoli.

Il pedagogista clinico può essere un valido aiuto per i genitori alle prese con difficoltà nell’esercitare il loro ruolo. Il suo compito non è quello di dare risposte già preconfezionate, ma aiutare a cercarle piano piano dentro di loro. Sarebbe più facile per noi dare risposte e consigli invece che vivere la stessa frustrazione dei genitori, iniziando insieme un percorso di ricerca e di riflessione, partendo entrambi dalla capacità di tollerare di “non sapere”che, lungi dall’essere una dichiarazione di impotenza, è invece un altro tipo di sapere, solitamente più fertile nel tempo perché stimola la ricerca e aiuta a scoprire le risorse.  Non è per niente facile tollerare di non sapere, ma se si è accompagnati da qualcuno che ne condivida il peso, forse il cammino diventa un po’ meno faticoso e può essere intrapreso.

Nessun percorso di aiuto potrà mai risolvere i problemi oggettivi che la vita ci fa incontrare: ci può però aiutare a guardarli in modo diverso e trovare altre modalità per affrontarli. E questo è un piccolo e contemporaneamente grande sostegno.

Che tipo di genitore ti senti di essere?

Se vuoi raccontarmelo, scrivimi.